Il 28 maggio 1606 è forse il giorno a cui più di ogni altro è stato da sempre dato risalto nelle biografie di Caravaggio. In questa data il pittore uccide, durante una partita di pallacorda (un antico gioco tipo tennis) Ranuccio Tomassoni. Questo fatto lo sappiamo tutti, l’abbiamo letto dalle pagine del Baglione, del Bellori e del Mancini: tutti hanno scritto e riscritto le stesse cose.
Quello su cui oggi voglio invitarvi a fare una considerazione è: «cosa sarebbe successo se quel giorno Caravaggio non si fosse trovato in quella piazzetta ed in quella partita? Cosa sarebbe successo se quel giorno il Merisi, invece di scontrarsi con quel delinquente di Ranuccio, si fosse trovato con Lena o con un’ altra delle sue donne, o magari si fosse intrattenuto più semplicemente nel suo studio a dipingere qualche santo?».
Ebbene, lo so, a questa domanda non riusciremo mai a dare risposta. Però mi piace immaginare che cosa ci saremmo potuti aspettare se il Merisi, oramai protagonista del palcoscenico romano e insignito del titolo di «egregius pictor in urbe», non fosse fuggito da Roma, e se al contrario avesse continuato a lavorare, in piena libertà, per i papi, per i potenti e per sé stesso.
Se le cose fossero andate diversamente, chissà, mi viene da pensare che avremmo perso quell’ impeto e quella foga con cui, da quel maledetto 28 maggio 1606, Caravaggio ha caratterizzato le sue pennellate, fissando sulla tela l’immagine della morte che forse proprio in quel giorno egli vide per la prima volta davvero da vicino.
(Angelo Coccaro)