Il Museo Hendrik Christian Andersen, straordinario esempio di casa atelier di un artista scultore della prima metà del Novecento, è un luogo davvero ricco di fascino e suggestione.
Lontano dai grandi flussi di visitatori, seppure appena dietro Piazza del Popolo, il museo è ospitato nel villino Helene (dal nome della madre, alla quale è dedicata un’effigie vicino all’ingresso), una palazzina progettata dallo stesso Andersen in uno stile tra Neorinascimentale e Liberty, con stucchi, sculture a tutto tondo e decorazioni floreali. L’interno, razionale, è suddiviso tra la parte privata ai piani superiori e i due grandi atelier al piano terra: da un lato la galleria, o sala di rappresentanza per l’esposizione delle opere finite; dall’altro lo studio con il laboratorio per la modellazione delle forme.
Andersen, nato in Norvegia e cresciuto in America, arrivò Roma durante un viaggio in Europa per gli studi artistici, nel 1894, e qui vi si stabilì, facendosi ben presto conoscere e apprezzare come ritrattista ed entrando a far parte della colta élite culturale straniera ben presente nella capitale.
La sua attività fu per tutta la vita incentrata sulla creazione di una utopistica “Città mondiale” che egli stesso descrisse in un volume, “A world centre of communication” (l’originale si trova nel museo).
La Città Mondiale, in un’anticipazione di concetti simili a quelli di Le Corbusier nella “Città Contemporanea”, avrebbe dovuto essere una sperimentale capitale mondiale, priva di un preciso ruolo politico, in cui potesse essere riunito il meglio dell’Occidente, con grandiosi edifici e sculture monumentali.
Andersen riteneva che l’arte, e soprattutto l’arte monumentale, potesse portare al mondo pace e armonia. La sua città sarebbe stata: una fontana di conoscenza strabordante da nutrire con gli sforzi di tutto il mondo nell’arte, nella scienza, nella religione; in cambio avrebbe diffuso la conoscenza a tutta l’umanità come se fosse un immenso, divino organismo concepito da Dio. L’arte, sosteneva Andersen nel suo trattato, può cambiare l’umanità e produrre la perfezione.
Le sculture in gesso e bronzo, i dipinti, le opere grafiche, ruotano principalmente sui temi dell’amore, della maternità, del vigore fisico, dell’intelletto che trionfa sulla forza bruta, efficacemente rappresentati nelle imponenti figure di eroi ed eroine che popolano i due grandi atelier del piano terra.
A Villa Helene ogni cosa racconta della “gloriosa utopia”, del sogno che divenne per Andersen quasi un’ossessione ma che, lungi dall’essere considerato il delirio di un singolo, si inserisce nei dibattiti politici facenti capo al movimento pacifista internazionale guidato dalla colta borghesia intellettuale di inizio Novecento.
Rimasta inalterata nel tempo, la casa museo è meritevole non solo per il valore artistico, ma anche per il valore storico sociale, essendo una galleria di scultura ma anche e soprattutto un centro di riflessione sull’architettura e sull’urbanistica, basato sull’idea che il progresso e l’arte potessero affrancare l’umanità da ogni bruttezza e meschinità.
Andersen visse a Roma fino alla morte (1940), donando la sua casa, lo studio, i documenti e più di 400 lavori allo Stato. È sepolto al cimitero acattolico di Roma.