Oggi voglio parlarvi dell’Apollo e Dafne di Bernini. Lo so, la statua e quelle dita che si trasformano in foglie le conosciamo tutti. E difatti non ci soffermeremo sulle dita….
Partiamo dal mito, necessario per inquadrare la scena. In estrema sintesi le cose si svolgono così: Cupido, per punire Apollo per la sua vanagloria, colpisce il dio con la freccia d’oro (che fa innamorare) e colpisce allo stesso tempo Dafne – la ninfa di cui Apollo si sarebbe invaghito – con la freccia di piombo (che fa rifuggire l’amore). Le conseguenze sono immediate: Apollo vede Dafne e se ne innamora. Dafne appena vede Apollo comincia a fuggire. Apollo la insegue. La ninfa chiede al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma. Dafne si trasforma così in albero d’alloro prima che il dio riesca ad averla…
Torniamo alla statua del Bernini. Il senso del movimento è come sempre immediato. Le figure sono slanciate, si vede che stanno correndo. Il movimento è suggellato proprio dal “divenire” le gambe e le mani alloro: le radici si stanno oramai attanagliando ai piedi, mentre la ragazza protende però ancora le mani verso l’alto, nel senso, per l’appunto, che si sta muovendo. Il suo grido di libertà (ossia essere trasformata in pianta di alloro) non è stato ancora completamente esaudito. Ebbene, guardiamo i muscoli del volto della ninfa: Dafne non sta gridando, sta cantando. Eccolo il Bernini genio del barocco: egli non colpisce un pezzo di marmo, mette in scena un melodramma pucciniano.
Soffermiamoci ora sugli sguardi. Lo sguardo di Dafne trasuda pathos, espressività. Apollo invece ha lo sguardo vuoto, vacuo. Ad essere pietrificato, lo vediamo, contrariamente al mito, non è la ninfa, bensì il dio. Apollo, d’altra parte, si trova dietro, ad inseguire: non vede la giovane amata, può solo toccarne la carne. Anche qui, il genio di Gianlorenzo ci lascia, come sempre, senza parole, con il cuore a pezzi di fronte a tanta bellezza.
Cari amici, come sempre l’invito è di osservare la bellezza dell’arte con calma, con il cuore.