Chi erano Fillide, Lena, Anna e Menicuccia, le prostitute ritratte in molti quadri dipinti tra il 1597 e il 1606?
In una Roma dove i litigi per questioni di donne erano diffusissimi – e spesso all’origine di episodi violenti in cui anche Caravaggio, col suo carattere, rimase coinvolto – le prostitute, affluite nella città papale da ogni parte d’Italia al richiamo della quantità di diplomatici, pellegrini, ecclesiastici e uomini d’affari presenti in città, si trovavano confinate in una specie di ghetto, nel quartiere detto Ortaccio, in riva al Tevere, nei pressi del Mausoleo di Augusto. Vediamole un po’ più da vicino, queste ragazze.
Fillide (Fillide Melandroni)
Nata nel 1581, il nome di Fillide balza agli onori delle cronache già nell’aprile del 1594, quando, all’età di tredici anni, è sorpresa dopo il tramonto, insieme ad Anna Bianchini, presso le mura di San Silvestro, fuori dalla zona consentita alle prostitute.
La ritroviamo, nel 1597, a carriera ormai iniziata, con il protettore Ulisse Masetti, uomo al servizio del cardinale Giustiniani e amico di Ranuccio Tomassoni, col quale ebbe, come affermò ella stessa, “conoscenza carnale”, ricevendone in dono un abito di taffetà “color fiamma”.
Nel 1599 il suo nome è ancora una volta presente nei documenti giudiziari. Nella notte dell’11 febbraio, martedì grasso, i vicini si lamentano del chiasso proveniente dalla sua casa, in via Condotti, dove si teneva una grande festa. Vi si erano visti giovani armati, e poiché le armi in casa di una prostituta sono vietate, le autorità fanno irruzione. Qui trovano però solo Fillide e «tre huomini, de’ quali uno haveva la spada quale si chiama Ranuccio». Fillide e Ranuccio vengono fermati, l’una in quanto prostituta e l’altro per essere illegalmente armato. Ma Ranuccio, non ancora ventenne, deve godere di una qualche influenza, perché è rilasciato senza neppure essere interrogato (Ranuccio, appartenente alla famiglia Tomassoni, di Terni, era il più giovane di cinque fratelli che esercitavano una sorta di controllo sulla prostituzione).
Ancora nel 1600, un nuovo episodio conferma il carattere “ribelle” di Fillide. Un’altra cortigiana, una certa Prudenza Zacchia, riferisce alla polizia che Fillide, insieme a una ragazza più giovane di lei, erano penetrate con la forza in casa sua. «La detta Fillide mi è venuta addosso con un coltello per sfregiarmi, et così mi ha tirato alla volta del mostaccio [volto] per sfregiarmi, et io mi son reparata con questa mano manca, che mi ha colto sopra il polso et ferito […] mi si sono messe addosso tutte due, et mi hanno dato molte botte, che con la punta del cortello mi ha un poco tocco qui alla bocca […] et così subito che loro hanno visto che mi usciva il sangue, subito se ne sono andate». Un testimone dichiara di avere sentito più tardi Fillide gridare da una finestra alla Zacchia, che se ne stava sanguinante sulla porta di casa sua: «Ah, poltrona bagascia, io ti ho ferito nella mano, ma io ti volevo cogliere nel mostaccio, ma ti coglierò un’altra volta».
Il motivo di questa resa dei conti troverebbe spiegazione in un altro testimone secondo cui, quella mattina, mentre si trovava in casa di Ranuccio a scaldarsi vicino al fuoco, Fillide arrivò e, corsa di sopra, nel trovare Ranuccio a letto con la Zacchia, gridò «Ah, poltrona bagascia, qua sei!», aggredendo la rivale con un coltello. Disarmata dal testimone, Fillide s’era scagliata sulla Zacchia «et li ha strappato molti capelli di testa».
La presenza di Fillide è registrata fra le attuali vie del Gambero e via Belsiana, dal 1598 al 1601, dove, grazie alle sue relazioni, riusce ad elevarsi a un buon livello sociale, diventando “educatrice” di altre prostitute (lo riportano gli Stati delle anime della parrocchia di Sant’Andrea delle Fratte).
Quanto all’aspetto, ne è, o meglio ne era, testimone il ritratto dipinto da Caravaggio intorno al 1600 (l’opera è andata distrutta a Berlino nel 1945). Il quadro è citato nel testamento della donna dell’ 8 ottobre 1614, risultando di proprietà del suo amante, il protonotario apostolico Giulio Strozzi, al quale Fillide volle che fosse restituito. Alla sua morte, Fillide Melandroni, residente “alla strada de Borgognoni”, fu tumulata fuori del sagrato della chiesa di San Lorenzo in Lucina, il 3 luglio 1618: avendo rifiutato la confessione e la comunione, non poté difatti trovare sepoltura all’interno dell’edificio.
Lena (Maddalena Antognetti)
Lena, ovvero Maddalena Antognetti, romana, è descritta in alcune cronache come “donna di Michelangelo”; la sua abitazione è regolarmente segnalata, dal 1602 al 1606, nei pressi della Chiesa di Sant’Ambrogio, nella parrocchia di Santa Maria del Popolo. “Figlia d’arte” (anche sua madre e sua sorella si prostituivano), Lena è un bella ragazza e come tale appare, nelle tele del Merisi, nei panni della Madonna di Loreto (il bimbo della tela sembra possa essere il figlio Paolo, nato il 15 dicembre 1602) e, forse, della Madonna dei Palafrenieri.
Per Lena, il 19 luglio 1605, Caravaggio si mette nei guai con la giustizia, danneggiando la facciata della bottega di frutta e verdura di Laura e Isabella della Vecchia, posta proprio sotto la casa di Lena, al Corso, e viene condotto a Tor di Nona, da cui esce il giorno dopo dietro cauzione. Le donne avrebbero suscitato l’ira del pittore mettendo in giro pettegolezzi e malignità contro l’Antognetti! Qualche tempo dopo, di fronte al palazzo dell’ambasciatore spagnolo, il giovane notaio Mariano Pasqualone de Accumulo, a passeggio sulla piazza, è assalito alle spalle, ricevendo in testa un violento colpo di spada. Pur non avendo visto in faccia l’aggressore, il 29 luglio 1605 denuncia di essere certo della sua identità: «son stato assassinato da Michelang[e]lo da Caravaggio pittore […] perché a queste sere passate havessimo parole sul Corso lui et io per causa d’una donna chiamata Lena che sta in piedi a piazza Navona, che è donna di Michelangelo». Le tensioni tra l’artista e il notaio potrebbero essere nate dopo la querela di Laura e Isabella della Vecchia contro Michelangelo (19 luglio 1605), querela che avrebbe spinto il tribunale ad imporre a Caravaggio e a Maddalena il divieto di frequentarsi; l’ordine potrebbe essere stato recapitato al Merisi proprio dal Pasqualone, impiegato presso uno degli uffici legali del cardinale vicario di Roma. Dopo aver commesso il reato, Caravaggio decide di fuggire e si trattiene qualche giorno a Genova, prima di rientrare a Roma e stipulare con il funzionario una pace, firmata nel Palazzo del Quirinale dei Borghese il 26 agosto.
Menicuccia (Domenica Calvi)
Domenica Calvi, detta Menicuccia, risulta abitare in una grande casa sulla strada vicino al Collegio dei Greci: lo confermano il testamento della Calvi, rogato il 1 marzo 1601, e il rinnovo del suo contratto di affitto, datato 3 aprile 1602. La donna non è chiaramente rintracciabile nei quadri di Caravaggio, e di lei non si sa molto: un documento rende noto il suo arresto la sera del 9 agosto 1601 quando viene fermata in carrozza dal Bargello a Porta Pinciana «incontro la porta della vigna del Cardinal del Monte». Arrestata insieme ad altre due donne, nell’interrogatorio Menicuccia riferisce di aver trascorso il pomeriggio nel giardino dei Medici in compagnia di alcuni gentiluomini e del loro seguito, e tra questi annovera Caravaggio (tale episodio attesta il giro di rispettabilissime frequentazioni, tra nobili e alti prelati, tra cui ruotano le “oneste cortigiane” del tempo).
Qualche anno dopo sembra che Caravaggio frequenti ancora Menicuccia. L’episodio si svolge all’altezza di via dei Greci. dove il pittore viene arrestato la notte tra il 19 e il 20 ottobre 1604, per aver scagliato delle pietre insieme ad alcuni amici, tra i quali Pietro Paolo Martinelli, corriere e servo del cardinal Aldobrandini, detto Spaventa. Si legge dalle dichiarazioni dello Spaventa: «Quando io intesi tirare li sassi stavo a raggionare con Menicuccia che sta in detta strada et li sassi furno tirati avanti che io credevo fussero tirati alli miei compagni». Durante l’arresto, Caravaggio insulta i gendarmi, anche se, nel corso dell’interrogatorio, sostiene che si tratta dell’illazione di un caporale suo nemico, tale Malanno, che «sempre quando me trova me fa di queste insolentie» e nega decisamente di aver detto agli sbirri «né che l’havevo in culo né che leccava la lume né cosa nesuna».
Anna Bianchini (Annuccia)
Anna Bianchini, che un rapporto di polizia descrive «più presto piccola che grande» e dai «capelli rosci et lunghi», figlia di un’altra cortigiana, toscana, probabilmente senese, arrivata a Roma all’inizio del 1593. Anna arriva a frequentare personaggi potenti, al punto che una volta, arrestata con l’amica Fillide, benché le ragazze avessero rispettivamente solo quattordici e tredici anni, il giudice s’era rivolto loro chiamandole rispettosamente “Donna Anna” e “Donna Fillide”. A diciassette anni, Anna è già stata segnalata più di una volta in rapporti di polizia come frequentatrice di pittori.
Una sera di aprile del 1597, i gendarmi sedano un vivace litigio scoppiato fra lei e una coppia di colleghe di nome Doralice e Livia; le tre devono aver risolto il malinteso in amicizia poiché vanno all’osteria del Turchetto, uno dei loro ritrovi abituali, per fare pace con un bicchiere di vino. Lì, seduti ai tavoli, ci sono dei pittori. Evidentemente conoscono le ragazze piuttosto bene, perché, quando queste entrano, uno di loro le accoglie dicendo ad alta voce: “Ecco qua Anna bel culo che ha”, frase ricambiata da Anna con un “forse tu hai il bel culo che io non ci attendo” e a questo punto l’innominato giovane pittore dà ad Anna uno schiaffo in pieno viso, il che, per ragioni rimaste oscure, ma che forse hanno a che fare con la rivalità fra le giovani, scatena fra Anna, Doralice e Livia una nuova zuffa, che fa ricomparire i poliziotti i quali poi raccontano la vicenda nei loro verbali.
Nel 1600, dopo un paio d’anni in cui sembra non avesse avuto guai con la legge, una notte d’estate Annuccia Bianchini torna a occupare le cronache giudiziarie. Pare si trovasse sulla porta di casa con l’amica Livia quando passa di lì, con degli amici, il suo ex protettore; Anna non resiste alla tentazione di fargli una pernacchia, volano insulti, e le ragazze si mettono a prendere gli uomini a sassate. Quando questi reagiscono, “volevano entrare dentro e me volevano toccare il culo” avrebbe spiegato in seguito Anna al magistrato, lei li aggredisce con un coltello, come riferisce un testimone. Uno degli uomini aveva chiamato Anna una “frustata” (far frustare le prostitute e portarle in processione per la città sul dorso di un asino era uno dei mezzi per imporre la morale pubblica).
Non ci sono prove che testimoniano di un qualche legame tra Caravaggio e Anna. Ma La Maddalena penitente , con i suoi “capelli rosci et lunghi”, così come la Vergine nel Riposo nella fuga in Egitto – entrambe opere giovanili di Caravaggio – potrebbero essere un’immagine della donna. E forse ancora Anna compare nella figura mariana della Morte della Vergine. Lontana dall’iconografia classica della Madonna, la figura, priva di qualsiasi tributo mistico, ha il volto pallido, un braccio abbandonato, il ventre gonfio e i piedi nudi. Secondo le parole del Mancini, a Roma si diceva che nella Vergine il pittore aveva rappresentato “qualche meretrice sozza degli ortacci qualche sua bagascia, una cortigiana da lui amata”.
(bibliografia: Rossella Vodret; A Roma sulle orme di Caravaggio)