La Conversione di San Paolo della Cappella Cerasi e la Conversione di Saulo Odescalchi: due tele, medesimo soggetto, profonde differenze.

Conversione di Saulo (collezione privata Odescalchi)
La scena della Conversione Odescalchi, cronologicamente anteriore e reduce di una matrice ancora manierista, si presenta vorticosa e convulsa: Saulo (non ancora san Paolo) è a terra, letteralmente accecato dalla luce emanata dall’apparizione di Cristo, che compare nell’angolo in alto a destra.
È una luce forte, quella che investe Saulo, ebreo che perseguitava i cristiani. Una luce che costringe Saulo a ripararsi con le mani, mentre Gesù gli dice “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (ciò è quanto si legge negli Atti degli Apostoli). L’apparizione divina, non poteva essere altrimenti, spaventa il cavallo, che viene con fatica tenuto a freno da un palafreniere, anch’egli, come Saulo, armato di lancia e scudo, e anch’egli accecato dalla luce. Completano la scena un secondo soldato, dietro, e un angelo, che sostiene Gesù con un braccio.

Conversione di San Paolo (Santa Maria del Popolo)
Diversa, quasi opposta, l’atmosfera nella Conversione della cappella Cerasi. Le figure si riducono, venendo a mancare sia il gruppo di Gesù e l’angelo, sia il secondo soldato. Saulo è sempre a terra, l’attimo in cui viene colto nella tela è diverso: non più accecato dalla luce, ma vinto; non più in procinto di tentare resistenza alla chiamata divina, bensì nell’attimo in cui accoglie la luce, a braccia aperte. Il cavallo è tranquillo, il palafreniere è pacato, senza più dover lottare per tener a bada l’animale, che ora si lascia condurre al lato di Paolo, onde evitare di calpestarlo.
Il pathos è ridotto drasticamente. Caravaggio fissa non il momento dell’apparizione, ma l’istante subito seguente: Gesù, avendo già chiamato Saulo, si è ritirato, lasciando a terra l’uomo e lasciandosi dietro gli ultimi bagliori luminosi.