L’interpretazione, troppo spesso scontata, è che la Conversione di san Paolo nella Cappella Cerasi rappresenti la seconda versione, che seguì al rifiuto della Conversione di Saulo, oggi nella collezione privata Odescalchi, in quanto ritenuta indecorosa dagli eredi del committente, monsignor Tiberio Cerasi.
Ma, a vedere la “seconda” tela, essa è palesemente più irriverente. Il protagonista diventa non il santo bensì il cavallo, e precisamente il deretano dell’animale. La scelta di attribuire al cavallo la centralità nella tela, potrebbe, ma è solo un ipotesi, essere ispirata a Caravaggio dalla Conversione del Moretto, che magari il Merisi, ma è sempre un ipotesi, avrà potuto vedere in una chiesa milanese.
E della figura dominante del cavallo parlava, già un ventennio prima del dipinto di Merisi, Giovanni Paolo Lomazzo, il quale, nel suo Trattato dell’arte della pittura, scultura ed architettura, consigliava che “nei luoghi religiosi le facciate e tavole vanno collocate in modo che conformino alla nobiltà degli occhi, come sarebbe a dire che le parti posteriori de’ cavalli, ed altri animali, non si veggano davanti, ma di dietro, come parte indegna d’esser vista, ma gli si faccia mostrare il fronte, e si lascino le parti che possono offender gli occhi indietro”.
Un’ultima riflessione merita attenzione: a riportare del rifiuto della prima tela di Merisi fu Giovanni Baglione, il quale, riferendosi alla versione presente nella Cappella Cerasi, scriveva che “questi quadri furono lavorati da lui in un’altra maniera, ma perché non piacquero al Padrone, se li prese il Cardinal Sannesio, e lo stesso Caravaggio vi fece quelli che hora si vedono, a olio dipinti, perché egli non operava in altra maniera”. Nessun’altra fonte contemporanea conferma però tali parole.
È quanto meno lecito, pertanto, dubitare sulla veridicità delle parole di chi, come Baglione, era notoriamente acerrimo nemico del Merisi, e sulla cui attendibilità pertanto va riflettuto.